Zero history


Un Gibson è sempre un Gibson. E come sempre dall’inizio già non delude e subito, dalle prime righe ti colpisce come un pugno con la sua narrazione che pressupone che tu viva nel mondo che circonda il romanza e che tu ne conosca come madrelingua lo slang che se ne parla.

Dopo qualche anno di assenza Gibson torna in libreria con Zero History, un nuovo lungo romanzo che si muove sui binari già tracciati da L’accademia dei sogni e “Guerreros”:https://www.phante.com/articles/guerreros-aka-spook-country, ovvero l’abbandono delle atmosfere dello sprawl in favore di un’altra storia ambientata al giorno d’oggi in una Londra normalissima, con il suo traffico, i suoi parchi, i suoi iPhone. Abbiamo quindi una storia che parla si aggira nei meandri del marketing, con, al posto dei cowboy del cyberspazio, cacciatori di trend e stilisti di moda nascosta.

Devo ammetterlo, questa attualizzazione nel mondo reale non è una cosa che mi esalta troppo. Io adoravo il cyberpunk sporco e veloce dei romanzi dello Sprawl o del Ponte quindi questa recensione potrebbe essere viziata da un pregiudizio di fondo, anche perché nel suo complesso non mi ha soddisfatto.

L’inizio è buono, l’immersione nel mondo e la scrittura sono quelli che mi aspettavo e che mi piacciono, la trama non è del tutto esaltante perché ricalca il tema dei cacciatori di trend modaioli che è già presente nel L’accademia dei sogni anche se qui è molto più terra terra, ma poi andando avanti con il libro la storia si ammoscia, l’impressione che ho avuto e che si impantana e il nostro autore faccia fatica a tirarla fuori. Ci prova nel finale, con un blitz, nel suo classico tentativo di ribaltamento del mondo, ma non c’è la fa, perché il finale barcolla un po’, non fluisce a dovere.

Insomma non posso certamente dargli un voto negativo ma non sono estasiato da questo romanzo.

Ah si, il romanzo originale è uscito nel 2010 mentre in italia è stato pubblicato per la prima volta solo nel 2012 per opera di Fanucci e solo in formato rilegato … non capisco perché queste case editrici si ostinino a non fare i libri nuovi anche in formato elettronico.